Ricorso tipo per eccepire l’incostituzionalità dell’art. 4 (novellato dalla L.
134\12), L. 89/01 (l. Pinto), dove stabilisce che, per ricorrere ex legge Pinto,
occorre attendere il passaggio in giudicato della causa presupposta, per
violazione degli artt. 3, 111 CPV 117 in relazione all’art. 6 della CEDU.
Non sussiste manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell’art. art. 4 L. 89/01, come modificato dalla L. 134/2012, per violazione degli
artt artt 3, 111 cpv, 117 in relazione all’art. 6 CEDU.
Recita infatti l’art 4, L. 89/2001 come modificato dalla L. 134/12: «1. La domanda
di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in
cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva».
La norma previgente stabiliva invece: «Art. 4. Termine e condizioni di proponibilità. 1.
La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento
nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei
mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta
definitiva».
Una norma che introduce una grave violazione dei principi miranti ad attuare la
celerità delle cause, specie poi in considerazione della loro durata in Italia.
PROFILI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
-Violazione dell’’art. 3 costituzione sotto il profilo della ragionevolezza e
dell’uguaglianza sostanziale e concreta.
Il testo vigente dell’art. 4 L. 89/01, nel confermare che «La domanda di riparazione
può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione,
che conclude il procedimento, è divenuta definitiva» ha soppresso il precedente inciso,
contenuto nel testo anteriore dell’art. 4, secondo cui la domanda di
riparazione «può essere proposta durante la pendenza dei procedimento nel cui ambito
la violazione si assume verificata».
Preclusione della domanda di equa riparazione in pendenza del procedimento
presupposto che rende rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art.
55 co. 1 lett. d) D.L. 22.6.2012 nr. 83, convertito con legge 7.8.2012 nr. 134,
laddove ha modificalo il predetto art. 4, il cui testo anteriore lo avrebbe invece
consentito.
Nell’ipotesi in cui sia trascorso un tempo più lungo dei 6 anni, che il vigente art. 2
co. 2-bis L. 89/01 considera ragionevole per la conclusione di una procedura civile,
non è possibile alla luce della nuova normativa, proporre un giudizio di equa
riparazione.
L’art. 4 L. 89/01 novellato lede pertanto diverse norme della Costituzione.
Appare violato anzitutto l’art. 3 della Costituzione.
Il superamento della durata ragionevole in pendenza della causa presupposta è più
grave del superamento quando essa sia sia almeno chiusa.
Né avrebbe senso addurre a giustificazione della norma l’esigenza di consentire la
valutazione unitaria del pregiudizio mediante la coalizione della durata dell’intero
processo presupposto, visto che l’improponibilità della domanda sussiste anche
quando il ritardo sia già maturato, magari, in ipotesi, già in primo grado, nel
processo presupposto, per essere stato superato il termine ragionevole previsto dal
Legislatore all art. 2 co. 2-bis L. 89/01 novellato.
VIOLAZIONE DELL’ART. 111 cpv COST, IN RELAZIONE ALL’ART 6 C.E.D.U.
Appare poi violato l’art. 111 cpv. della Costituzione, in quanto il diritto di agire per
l’equa riparazione costruisce ormai una forma di attuazione indiretta del diritto
alla ragionevole durata del processo presupposto.
Interventi legislativi come quello in commento, che mirano chiaramente a
preservare solo l’interesse economico dello Stato, violano inoltre il principio di
parità delle armi di cui all’art. 6 § 1 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo.
Lo Stato Italiano ha promulgato una legge solo per impedire o ostacolare il
soddisfacimento dei crediti nascenti dai decreti Pinto.
Un intervento legislativo in sostanza non giustificato da alcuna ragione e pertanto
da disapplicare.
La Costituzione Italiana ha infatti pienamente recepito i trattati internazionali, per
cui, ove la legge italiana vi si ponga in insanabile contrasto, essa deve essere
disapplicata ovvero dichiarata incostituzionale.
È cioè evidente che soltanto una lettura costituzionalmente orientata della norma
può rimettere la questione sui binari del diritto e della legalità.
Giova richiamare al riguardo le precedenti pronunce della Corte Costituzionale
n. 348/2007 e n. 349/2007 che hanno definitivamente affermato il principio
secondo cui le leggi interne contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo sono incostituzionali e rispetto ad esse va sollevata questione di
legittimità.
Il suddetto principio trova piena applicazione, in considerazione di quanto esposto,
con riferimento alle violazioni di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo.
L’interpretazione offerta dal citato art. 4 L. 89/01 come modificato dalla L. 134/12
è palesemente incostituzionale per la violazione dell’art. 111 Cost in quanto il
diritto di agire per l’equa riparazione costituisce ormai una forma di attuazione
indiretta del diritto alla ragionevole durata del processo presupposto.
VIOLAZIONE DELL’’ART. 117 COST, IN RELAZIONE ALL’ART 6 co 1 C.E.D.U.
Appare infine violato l’art. 117 della Costituzione, in relazione al rispetto da parte
della legislazione dei vincoli derivanti dall’art. 6 comma primo della Convenzione
EDU, che prevede il diritto delle parti all’esame della loro causa «entro un termine
ragionevole».
Indubbiamente, l’obbligo fondamentale degli Stati aderenti alla Convenzione EDU
è di garantire, attraverso appropriate misure organizzative e legislative, il diritto
alla ragionevole durata dei processi. La previsione di specifici rimedi indennitari in
caso di violazione di tale diritto non è di per sè doverosa per le legislazioni
nazionali. L’introduzione del rimedio quale forma di attuazione del principio di
sussidiarietà nella tutela del diritto all’indennizzo è però variamente voluto dalla
Corte EDU, e può anzi essere inteso come espressione di una linea di tendenza di
più largo respiro..
In tale contesto, il rimedio ha senso se è dotato del carattere dell’effettività, e cioè
se consente la massima con formazione possibile del giudice nazionale alle regole
della Convenzione EDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo.
L’obbligo di conformazione e di tendenziale coincidenza tra l’area della legge Pinto
e la giurisprudenza di Strasburgo, è stato affermato dalla nostra Cassazione a
partire dalle sentenze delle Sezioni Unite civili nr. 1338/04, 1339/04 e 1340/04, e
ancora di recente è stato ribadito da Cass. civ. 21652/12 che, alla luce dell’art. 34
della Convenzione, ha escluso l’indennizzo di eccessiva durata in favore della parte
processuale che sia ente pubblico.
Qui, al contrario, la legge si pone in contrasto con il vincolo convenzionale allorché
il suo adempimento risulta solo apparente perché privo del requisito
dell’effettività, che la giurisprudenza di Strasburgo costantemente richiede.
In conclusione, le modifiche della L. 89/01 si giustificano rispetto all’art. 117 della
Costituzione solo se conservano o accrescono l’effettività del rimedio indennitario,
la sua conformità alle regole della Convenzione e alla giurisprudenza di
Strasburgo.
La contestata modifica dell’art. 4 L. 89/01 ha invece drasticamente soppresso tale
conformità in relazione ai processi presupposti non ancora definiti.
Né la soppressione di tale facoltà di azione in relazione ai processi presupposti
ancora pendenti può correlarsi a un eventuale ridimensionamento del problema
della eccessiva durata dei processi, che rimane tuttora un problema strutturale del
nostro Paese.
Non è insomma possibile un’interpretazione convenzionalmente orientata, perché
la finalità del nuovo art. 4 L. 89/01 è univocamente quella di impedire la
proposizione della domanda di equa riparazione relativa a giudizio presupposto
ancora pendente.
Si rileva pertanto la questione di legittimità dell’art 4 l. 89/01 come modificato
dalla l. 134/12, risultando esso in contrasto con i seguenti art. della Costituzione:
artt. 3, 111 cpv 117 in relazione all’art. 6 CEDU.
Si chiede in conseguenza che l’On. Giudicante, previa sospensione del processo,
voglia sollevare la predetta questione di illegittimità costituzionale e rimetterla
alla decisione della Corte Costituzionale.
Avv. Luigi Aldo Cucinella